Nella vita dei pescatori dei Due Mari, tra arte, passione e poesia

_E9B9792-2“Lu sole se ne va, domani torna. Questa canzone la cantavamo alla tonnara e il comandante ci diceva: avanti, il sole sta affondando, prepariamoci per tornare a casa”

Ce lo ha raccontato uno dei tanti pescatori che abbiamo incontrato nella terra dei Due Mari durante il nostro viaggio. Camera in spalla, obiettivo puntato sui loro bellissimi visi segnati dal tempo, dal mare e dal sole, ci avventuriamo sulle loro barche, nelle loro case, nei porticcioli e in alcuni dei luoghi più belli e suggestivi di questo tratto di costa siciliana. La luce sull’Isola ha un colore diverso e bacia le pietre gialle delle tonnare che si riflettono sulle acque cristalline: da mattina a sera, trascorriamo del tempo insieme a chi ha scritto la storia della pesca dei Due Mari attraverso le generazioni. Saliamo a bordo delle imbarcazioni e mentre ci lasciamo rapire dai racconti di una vita trascorsa in mare, abbiamo l’occasione di assistere allo spettacolo della pesca notturna. “Per chi non l’ha mai visto fare, è qualcosa di spettacolare e strano: tu butti questi ami nel mare nero e profondo, ma non c’è luce e non vedi niente. Il pesce senza luce non gira, ecco perché la luna è fondamentale nel nostro mestiere. Quando c’è la luna il pesce si muove, mangia, va a caccia. Il pesce è molto furbo, non lo prendi di giorno. E’ un sarago! Qui da noi si usa dire di una persona che è un sarago per intendere che è furbo”. Avvolti dall’ombra della notte, in pieno mare, li osserviamo mentre, utilizzando la tecnica dell’ “u palamito”, dell’ “u ciciolo” o della “a tri magghie”, traggono dal mare il pesce come fosse un dono. Uno dei pescatori che ci accompagnano in questa grandiosa avventura intuisce la nostra emozione e ci spiega: “Questo lavoro è bello perché è libertà: non hai impegno con nessuno, soltanto con la natura, con il mare, con il sole e con l’aria aperta”. Prosegue il racconto di uno dei professionisti dei Due Mari, che ci spiega come il suo lavoro e la sua vita sia sempre dipeso  dalle correnti: “questo non è soltanto un lavoro fisico. E’ un lavoro di testa: se vuoi portare il pesce a casa devi conoscere il mare e sapere dove buttare questi ami, perché il mare non è tutto pescoso. Ci sono zone in cui non prendi niente”. Dopo una lunga nottata di lavoro trascorsa tra storie e forti emozioni, torniamo al porto e ci dirigiamo al mercato per vendere un pescato freschissimo: dalla nostra imbarcazione, il nostro pesce arriverà sulle tavole degli italiani. Cosa non dimenticheremo facilmente? Il volto di “Alaccia” mentre ci dice: “Tutti i pescatori hanno un soprannome. A me chiamavano testa di Alaccia, perché avevo la testa dura. Cosa voglio dirvi? Che io la vita del pescatore la trovo bellissima”.

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *